L’art. 88, co. 4-bis, del D.P.R. 917/1986 dispone che la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. In altri termini, nei limiti del valore fiscalmente riconosciuto del credito, il socio aumenta il costo della partecipazione (artt. 94, co. 6, e 101, co. 7, del TUIR), e il soggetto partecipato rileva fiscalmente un apporto non tassabile: l’eccedenza, invece, rappresenta una sopravvenienza attiva imponibile per il debitore partecipato, indipendentemente dal relativo trattamento contabile, con la conseguenza che si può generare una fattispecie impositiva da gestire con una variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi (il riferimento è, pertanto, alla rinuncia del socio rilevata contabilmente senza transitare a conto economico, mediante imputazione alla voce A)VI) “Altre riserve” del patrimonio netto, come raccomandato dal principio OIC 28).
A tale fine, il socio – mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio – comunica alla partecipata il valore fiscale del credito rinunciato: in mancanza, esso è assunto pari a zero, con l’effetto che l’intera rinuncia costituisce una sopravvenienza attiva imponibile per la società beneficiaria della remissione: peraltro, la R.M. 124/E/2017 ha precisato che tale comunicazione non è necessaria, se il socio è una persona fisica che non agisce nell’ambito dell’attività d’impresa. Qualora il socio rinunciante rivesta anche la qualifica di amministratore della partecipata, e la remissione riguardi il credito maturato per effetto dell’esercizio delle proprie funzioni di gestione (compenso e indennità di fine mandato, soggetti al principio di cassa), l’Amministrazione Finanziaria ritiene che si configuri la fattispecie del c.d. incasso giuridico, che determina l’imponibilità dello stesso (C.M. 73/E/1994, par. 3.20): sul punto, si è, tuttavia, espressa in senso contrario la Cass. 16595/2023, secondo cui tale orientamento dell’Agenzia delle Entrate non è applicabile alle rinunce dei soci ai crediti soggette alla disciplina stabilita dall’art. 88, co. 4-bis, del D.P.R. 917/1986.
Le medesime disposizioni si applicano nei casi di operazioni di conversione del credito in partecipazioni, a prescindere dalla modalità seguita per il loro compimento (sottoscrizione dell’aumento di capitale mediante compensazione oppure altre operazioni) e dal regime contabile adottato dai soggetti coinvolti: il valore fiscale delle azioni o quote viene assunto per un importo pari al valore fiscale del credito oggetto di conversione, al netto delle perdite su crediti eventualmente deducibili per il creditore a seguito della conversione stessa.
Si segnala, tuttavia, che la rinuncia dei soci ai propri crediti nei confronti della partecipata è soggetta alla disciplina del co. 4-ter dell’art. 88 del TUIR – riguardante la determinazione della quota non imponibile della sopravvenienza attiva da riduzione dei debiti – e non a quella del suddetto co. 4-bis, qualora sia effettuata nell’ambito di una delle seguenti soluzioni della crisi d’impresa o dell’insolvenza: concordato fallimentare, preventivo liquidatorio o di risanamento, accordo di ristrutturazione dei debiti oppure un piano attestato di risanamento pubblicato presso il Registro delle Imprese (tale disciplina è, tuttavia, destinata ad essere rivista dalla prossima attuazione della “Delega Fiscale”, ai sensi dell’art. 9, co. 1, lett. a), n. 1), della Legge 111/2023).