L’art. 10-bis del D.Lgs. 74/2000 prescrive che è punito con la reclusione, da sei mesi a due anni, chiunque non versa – entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale dei sostituti d’imposta (modello 770) – le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore ad euro 50.000 per ciascun periodo d’imposta. Tale disposizione è applicabile, in virtù dell’espresso richiamo operato dal successivo art. 10-ter, anche a chiunque non paga l’IVA, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine di versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo.
Con riferimento a tali due norme, la C.M. 16/E/2018, par. 4, ha ricordato quanto sostenuto dalla Cass. 35786/2017: “l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, seppure antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’imposta, non esclude il reato in relazione al debito IVA scaduto e da versare” (Cass. 12912/2016, 44283/2013 e 39101/2013). Era, infatti, necessario, secondo tale giurisprudenza di legittimità, che l’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis L.fall.), ovvero la transazione fiscale di cui all’art. 182-ter L.fall., prevedessero espressamente la dilazione del pagamento del debito tributario ad epoca successiva alla scadenza del termine previsto dagli artt. 10-bis e 10-ter del D.Lgs. 74/2000, e che l’omologazione intervenisse prima di tale data: “Solo in tal caso, l’omologazione dell’accordo determinerebbe la modifica di un elemento strutturale della fattispecie penale, quale conseguenza di un provvedimento giurisdizionale, tale da incidere sulla sussistenza del reato al momento della scadenza in esso prevista”.
Il suddetto orientamento è stato, poi, superato dalla successiva Cass. 52542/2017, a parere della quale – essendo venuto meno l’obbligo inderogabile di pagamento integrale dell’IVA – il reato previsto dall’art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000 non sussiste, qualora l’omesso versamento si sia verificato dopo l’ammissione del debitore alla procedura di concordato preventivo. Sarebbe, infatti, contraddittorio ritenere la persistente vigenza dell’obbligo di versamento integrale della passività IVA nonostante l’intervenuta ammissione del debitore ad una procedura di concordato preventivo, avente inequivocabile valore pubblicistico. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha posto in rilievo che “l’indagato si è trovato di fronte ad una situazione in cui, da una parte, a seguito dell’avanzata richiesta di concordato preventivo, è stato destinatario di un ordine del giudice che gli imponeva di non pagare crediti sorti in data anteriore alla proposta di concordato del 2.7.2015, fra cui il credito tributario costituito dall’importo dovuto per l’IVA dichiarata nell’anno 2015 […] dall’altra, la norma di cui all’art. 10-ter cit. gli imponeva l’obbligo di pagare il debito IVA entro la data del 28.12.2015, ma se così avesse fatto avrebbe violato l’ordine del giudice e le norme poste a tutela della par condicio”.