Ai soci che non hanno acconsentito alla fusione può essere riconosciuto il diritto di recedere dal rapporto societario. Più precisamente, nelle società di persone e nelle s.r.l. tale diritto compete “ex lege” (artt. 2502, co. 1, e 2473, co. 1, c.c.), ovvero anche nel caso in cui non sia espressamente previsto dall’atto costitutivo o dallo statuto della società. Diversamente, nelle s.p.a., la decisione che approva la fusione non attribuisce inderogabilmente al socio che non ha acconsentito la facoltà di recedere: il diritto di recesso potrebbe, tuttavia, essere legittimamente esercitato, qualora la fusione risulti espressamente prevista dallo statuto tra le cause di recesso “ulteriori” a quelli inderogabili di legge. Peraltro, anche in assenza dell’espressa previsione statutaria pare corretto ritenere che il socio di s.p.a., che non ha concorso alla deliberazione della fusione, sia comunque titolare del diritto di recesso ex lege, qualora la fusione determini anche uno o più accadimenti che integrano un presupposto per l’esercizio del diritto di recesso. Sul punto, il Comitato Triveneto dei Notai, con la massima L.A.9, ha osservato che, in caso di fusione di una società per azioni, “è riconosciuto agli azionisti il diritto di recesso quando l’operazione sia tale da importare un cambiamento significativo dell’attività della società, o la sua trasformazione, o altra ipotesi attributiva della facoltà di recedere”.
Conseguentemente, se in pendenza della procedura di concordato preventivo viene deliberata la fusione della società, ai soci non consenzienti spetta comunque il diritto di recedere dal contratto societario. Al ricorrere di quest’ultima circostanza, si pone un dubbio operativo in merito alla modalità di liquidazione della quota del socio receduto, che dovrà avvenire nei tempi e nei modi previsti dalla procedura concorsuale. Sul punto, il Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, massima n. 34/2013, ha osservato che, agli effetti del recesso:
- la valutazione della partecipazione dovrà avvenire secondo gli ordinari principi civilistici e, quindi, dovrà essere effettuata al momento della dichiarazione del socio di recedere dal rapporto contrattuale (art. 2473, co. 3, c.c.) o addirittura dovrà essere comunicata prima dell’assemblea (art. 2437-ter c.c.);
- non essendo ancora omologato il concordato, tale valutazione non potrà tener conto degli effetti benefici della falcidia concordataria (c.d. bonus concordatario);
- se all’esito della valutazione dovesse emergere in astratto un valore positivo della quota del recedente, la liquidazione in pendenza di concordato potrà avvenire solo ad opera degli altri soci o di terzi, e mai avvalendosi di mezzi propri della società.
La liquidazione della quota mediante mezzi propri della società dovrà essere differita alla fase successiva all’omologazione del concordato, che dunque influisce sull’esigibilità del credito del socio receduto. Secondo i notai toscani, l’inesigibilità dell’eventuale credito del socio, in pendenza di concordato preventivo, appare coerente con:
- la previsione di cui all’ 161, co. 7, del R.D. 267/1942, che ammette la possibilità per la società, alle condizioni ivi previste, di contrarre debiti ulteriori, ma solo nei confronti dei terzi ed in funzione dell’amministrazione del patrimonio. Qualità, queste ultime, che non appartengono sotto il profilo soggettivo al socio, che è investitore e non terzo, e dal punto di vista oggettivo al suo diritto di credito, riconosciuto in funzione di tutela dell’investimento individuale e non inerente all’amministrazione del patrimonio;
- il principio generale della postergazione delle pretese dei soci rispetto a quelle dei creditori, secondo cui i soci non possono ricevere utilità dalla società se quest’ultima non sia in condizione di mantenere la solvibilità per un congruo periodo di tempo.
Le motivazioni sopra argomentate impongono, pertanto, cautela al soggetto chiamato alla predisposizione del piano concordatario. Infatti, in termini prettamente operativi l’eventuale credito del socio da recesso dovrà essere esposto nel piano di concordato, così da permettere ai creditori di esprimere, con consapevolezza, il proprio voto in merito all’approvazione della proposta del debitore, posto che, in tale circostanza, il socio receduto concorrerebbe con loro alla ripartizione dell’attivo concordatario.
Qualora il credito da recesso del socio venga liquidato con il patrimonio della società, tale rimborso determinerebbe una riduzione di risorse a favore dei creditori sociali, con evidenti ripercussioni negative sul piano e sull’accettazione da parte dei creditori della proposta di concordato del debitore, in relazione ai quali è difficile ipotizzare di richiedere un ulteriore sacrificio in termini quantitativi e di attesa del pagamento del loro credito.
Un’ultima considerazione deve essere, infine, formulata con riguardo al caso di successivo fallimento del debitore. Al ricorrere di tale ipotesi, è dubbio che il credito del socio receduto possa qualificarsi come prededucibile ai sensi dell’art. 111 del R.D. 267/1942, essendo sostenibile che tale credito non sia sorto né in funzione e nemmeno in occasione del concordato preventivo: manca, infatti, nel caso di specie, un titolo che, in conformità delle regole del concordato, consenta di far gravare sul patrimonio del debitore il debito del socio.
Infine, si segnala che l’art. 116 del D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 16.5.2022, non stabilisce, tuttavia, delle novità in merito, contrariamente a quanto prospettato dall’art. 6, co. 2, lett. c), della L. 155/2017, secondo cui ai soci non sarebbe dovuto spettare il diritto di recesso in conseguenza di operazioni incidenti sulla organizzazione o struttura finanziaria della società.