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Affitto d’azienda e responsabilità verso i lavoratori dipendenti

La gestione dei contratti di lavoro subordinato interessati dall’affitto d’azienda è disciplinata dall’art. 2112 c.c., a norma del quale – in caso di trasferimento d’azienda, anche temporaneo, come nell’ipotesi dell’affitto di ramo d’azienda[1], e della sua restituzione alla cessazione del relativo contratto[2] – il rapporto di lavoro continua con il soggetto che riceve il complesso aziendale, e il dipendente conserva tutti i diritti che ne derivano. L’affittuario è, pertanto, tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa dell’affittuario: al ricorrere di quest’ultima eventualità, l’effetto di sostituzione si produce esclusivamente tra contratti collettivi del medesimo livello.

Il trasferimento d’azienda non costituisce, quindi, di per sé motivo di licenziamento[3], ferma restando la facoltà di recesso  ai sensi della normativa in materia di licenziamenti: il dipendente, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica[4] nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all’art. 2119, co. 1, del codice civile.

Il concedente e l’affittuario sono obbligati, in solido[5], per tutti i crediti (retributivi, previdenziali[6], assicurativi, TFR[7], ecc.) che il lavoratore aveva al momento del trasferimento, purchè a tale data non sia intervenuta l’estinzione del rapporto, per i cui debiti risponde esclusivamente il concedente[8].

Nel caso di responsabilità solidale, il lavoratore può, tuttavia, acconsentire – nell’ambito di un procedimento di conciliazione, a norma degli artt. 410 e 411 c.p.c. – alla liberazione del concedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.

 

[1] Il co. 5 dell’art. 2112 c.c. stabilisce che “Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto d’azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.

[2] Cass. 27 luglio 2011, n. 16255, e Cass. 4 settembre 2003, n. 12909.

[3] Cass. 4 febbraio 2019, n. 3185; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3041; Cass. 11 giugno 2008, n. 15495.

[4] Ministero del Lavoro, nota 31 maggio 2001.

[5] Nel caso in cui il concedente stipuli con l’affittuario un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di affitto, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all’art. 29, co. 2, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276.

[6] Il riferimento dell’art. 2112, co. 2, c.c. è limitato al rapporto giuridico intercorrente tra il datore di lavoro e il dipendente, e non si estende a quello che il concedente (o il cedente) ha con gli enti previdenziali per il pagamento dei contributi obbligatori: si tratta, infatti, di una disposizione di tutela del solo lavoratore subordinato (Cass. 24 febbraio 2016, n. 3646, e Cass. 16 giugno 2001, n. 8179).

[7] Per la quota maturata a partire dalla data di effetto dell’affitto d’azienda, ne risponde esclusivamente l’affittuario (Cass. 8 gennaio 2016, n. 164).

[8] Cass. 2 marzo 1995, n. 2417, e Trib. Firenze 30 maggio 2011.