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Finanziamento dei soci e presunzione di onerosità

L’operazione di finanziamento, da parte dei soci, soggiace a specifiche presunzioni tributarie, che devono essere accuratamente valutate, al fine di minimizzare il rischio di possibili contestazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

L’art. 46 del D.P.R. 917/1986 prevede, infatti, una presunzione di dazione a mutuo delle somme erogate dal socio alla partecipata ove dal bilancio non risulti un diverso titolo. Conseguentemente, la presunzione della dazione a titolo di mutuo potrà essere superata solo attraverso l’indicazione di un titolo diverso dal mutuo dell’erogazione, operata nei bilanci o nei rendiconti della società.

A questa disposizione si affianca, poi, l’art. 45, co. 2, del D.P.R. 917/1986, che pone una serie di presunzioni, aventi ad oggetto, rispettivamente, la percezione, competenza e misura degli interessi relativi ai capitali dati a mutuo: ”Per i capitali dati a mutuo gli interessi, salvo prova contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto. Se le scadenze non sono stabilite per iscritto gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo di imposta. Se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si computano al saggio legale”.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la presunzione legale di onerosità del finanziamento può essere superata dal socio finanziatore fornendo la relativa prova. A tale fine, non possono, tuttavia, ritenersi sufficienti semplici enunciazioni da parte del socio della destinazione del versamento ad incremento del capitale e l’assenza di dimostrazione contraria. In particolare, a parere della Suprema Corte, la presunzione legale di onerosità del finanziamento dei soci in favore della partecipata:

  • può essere superata solo da una prova positiva di avvenuto inserimento di pattuizioni contemplanti l’esonero dal pagamento degli interessi. In particolare, è stato affermato che tale prova non può ritenersi costituita laddove siano prodotte, da parte dei soci, lettere generiche prive della busta originale (Cass. 15869/2009);
  • può essere superata da prova contraria, che non è libera, ”ossia non può essere data con qualsiasi mezzo, ma soltanto nei modi e nelle forme stabiliti tassativamente dalla legge, la quale ammette la vittoria sulla suddetta presunzione solo quando risulti, dai bilanci allegati alle dichiarazioni dei redditi della società, che il versamento è stato fatto a titolo diverso dal mutuo. Quindi, non è sufficiente la mera dichiarazione da parte del socio della destinazione del versamento effettuato a favore della società ad incremento del capitale” (Cass. 2735/2011 e Cass. 17839/2016).

Di parere difforme, invece, la giurisprudenza di merito, secondo cui il finanziamento erogato da un socio alla partecipata può essere infruttifero anche in assenza di un atto scritto, poiché l’art. 1350 c.c. non prevede la forma scritta per tale contratto, il quale può, quindi, assumere anche la forma verbale. In tale ipotesi, secondo l’orientamento di tali giudici tributari, per dimostrare l’infruttuosità del finanziamento dovrebbe essere sufficiente provare l’esistenza di un accordo in tal senso tra le parti, la cui manifestazione ben potrebbe essere la mancata deduzione dei relativi interessi passivi da parte della società (C.T. Prov. Bergamo 456/2015).