L’art. 147, co. 1, del R.D. 267/1942 stabilisce che la sentenza dichiarativa di fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile (s.n.c., s.a.s. e s.a.p.a.) produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili. Il c.d. fallimento in estensione è, pertanto, configurabile anche in capo alle società (di capitali o persone) socie illimitatamente responsabili di società di persone (art. 2361 co. 2 c.c.).
La dichiarazione di fallimento è possibile solo se l’insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata (art. 147, co. 2, del R.D. 267/1942).
Il fallimento dei soci illimitatamente responsabili non può, tuttavia, essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata anche in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati (art. 147, co. 2, del R.D. 267/1942). A tale fine, rileva la data di iscrizione al Registro delle Imprese della vicenda personale (Cass. 19797/2015; Cass. 1046/2015; Cass. 24199/2013) – morte, recesso, esclusione o vendita della quota di partecipazione – o societaria (ad esempio, la trasformazione, fusione o scissione societaria) che ha comportato il venir meno della responsabilità illimitata del socio. Le vicende che hanno generato lo scioglimento del rapporto sociale, ai sensi dell’art. 2290 co. 2 c.c., non sono opponibili ai terzi sino a quando non sono adeguatamente rese pubbliche (Cass. 1046/2015): non assume rilievo il fatto che il recesso sia avvenuto oltre un anno prima della sentenza dichiarativa di fallimento, poiché il rapporto societario – per quanto riguarda i terzi – è ancora in atto in quel momento (Cass. 9234/2012). Analogamente, la cancellazione del nome del socio dalla ragione sociale non è di per sé indicativa del suo recesso dalla compagine sociale e, pertanto, non esclude il socio dal fallimento della stessa (Cass. 4865/2010).
Il tribunale, prima di dichiarare il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, deve disporne la convocazione a norma dell’art. 15 del R.D. 267/1942 (art. 147, co. 3, del R.D. 267/1942).
La disciplina del fallimento in estensione si applica a tutti i soci illimitatamente responsabili, sia quelli che lo sono nel momento in cui è pronunciata la sentenza dichiarativa di fallimento che quelli che vengono accertati in un secondo momento (c.d. soci occulti), così come quelli che hanno perso tale qualità da meno di un anno.
Se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi (art. 147, co. 4, del R.D. 267/1942). Allo stesso modo si procede, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l’impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile (art. 147, co. 5, del R.D. 267/1942).
Contro la sentenza del tribunale è ammesso reclamo, a norma dell’art. 18 (art. 147, co. 6, del R.D. 267/1942): in caso di rigetto della domanda, contro il decreto del tribunale l’istante può proporre reclamo alla Corte d’Appello, ai sensi dell’art. 22 del R.D. 267/1942 (art. 147, co. 7, del R.D. 267/1942).