Il liquidatore risponde penalmente dell’omesso versamento IVA ai sensi dell’art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000 quando abbia accettato la carica nella consapevolezza della crisi di liquidità che gli avrebbe impedito di adempiere agli obblighi tributari. È quanto ha stabilito la Cass. 52851/2018, secondo cui la punibilità ricorre qualora l’inadempimento tributario rappresenti l’esito di una scelta operativa ben precisa: nel caso di specie, il liquidatore aveva preferito anteporre al pagamento dei debiti tributari la risoluzione, peraltro non definitiva, di talune problematiche economiche che riguardavano i dipendenti della società (pagamenti di stipendi, TFR e anticipi della cassa integrazione). Nello stesso senso, si era già espressa anche la Cass. 41594/2017, affermando che risponde del reato di omesso versamento IVA, ai sensi dell’art. 10-ter del DLgs. 74/2000, quanto meno a titolo di dolo eventuale, il liquidatore che, in carica già nove mesi prima della scadenza del termine penalmente rilevante, dopo aver richiesto un concordato preventivo (poi, non omologato) nel cui contesto l’inventario del commissario giudiziale segnala l’esistenza della liquidità necessaria per adempiere al pagamento dell’imposta, non si attiva per provvedere al relativo versamento.
Tornando alla Cass. 52851/2018, è stato altresì sottolineato che il liquidatore, al momento della sottoscrizione della dichiarazione IVA, era a conoscenza dell’esposizione tributaria della società, in quanto costui – prima dell’assunzione dell’incarico di liquidatore – aveva curato, nella veste di commercialista, la redazione dei bilanci della debitrice. In tal senso, non era ravvisabile alcuna forza maggiore, non essendosi in presenza di un evento imprevedibile e imponderabile e non avendo l’imputato provveduto a ripartire le risorse in modo da adempiere almeno in parte l’obbligazione tributaria, operando invece una sorta di “distrazione” della provvista economica a tal fine destinata. Non rileva quale causa di esclusione della responsabilità, ai sensi dell’art. 45 c.p., lo stato di dissesto imputabile alla precedente gestione, quando risulta che l’agente, al momento del suo subentro nella carica, aveva la consapevolezza della crisi di liquidità e non era nell’impossibilità a lui non ascrivibile di intraprendere alcuna iniziativa per fronteggiare tale situazione (Cass. 43599/2015). Esiste, infatti, un obbligo per il contribuente, per un verso, di accantonare le risorse necessarie per il soddisfacimento dell’obbligo tributario prioritario e, per altro verso, di adottare tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (Cass. 47596/2017, e Cass. 50209/2015).
Il profilo di colpevolezza del liquidatore è, pertanto, riconducibile alla concreta gestione aziendale, in quanto, nell’ambito di un incarico non breve, che ha ricompreso sia il momento della dichiarazione IVA che quello del successivo inadempimento tributario, “ha perseguito scientemente, pur nella comprensibile necessità di occuparsi anche di altre serie impellenze, l’opzione di pretermettere completamente il versamento dell’imposta, non coltivando adeguatamente l’ipotesi di un pagamento almeno parziale o comunque dilazionato del debito di imposta, operando scelte di tipo diverso nella ripartizione delle pur esigue risorse finanziarie disponibili”.